Ammàno, il vino di Marilena Barbera da Menfi, intervista

Ammàno, il vino che mi ha cambiato la vita

Come ho cominciato a fare quello che ancora faccio, senza filtri

 

Ci piace pubblicare questa nota di Marilena dove racconta l’amore per la sua terra (Menfi in provincia di Agrigento, la Sicilia) e di come nascono i suoi vini, in particolare l’Ammàno, un vino fantastico che mi ha affascinato dalla prima annata di produzione e che mi ha fatto poi scoprire anche tutti i suoi altri vini che hanno una linea comune nei profumi e nelle pulizie di beva: c’è tutta la Sicilia buona dentro.


Le foto sono prese dal suo blog che rappresentano le sue tre anime, comunicatrice, produttrice, imprenditrice.
Buona lettura

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Un titolo così a prima vista sembra un’esagerazione, ma sinceramente: nella mia vita di vignaiola c’è un prima di Ammàno e un dopo Ammàno.
E stasera, al termine della vinificazione del mio dodicesimo Ammàno, mi sembra di averne finalmente piena consapevolezza.

La prima vendemmia di Ammàno è stata la 2013, un’annata calda e secca che allora mi sembrava straordinaria e che oggi è quasi la norma. Avevo piantato questo fazzoletto di Zibibbo, e l’attecchimento era stato lento: il vigneto cresceva poco e produceva pochissimo, più che altro qualche grappolo di uva da mangiare, molte barbatelle continuavano a rigettare gli innesti, e io testardamente continuavo a reinnestarle, e a colmare le fallanze.

Nel 2013 finalmente ho potuto raccogliere circa 5 quintali di uva bellissima: profumata, dolce, croccante, indifferente al caldo tremendo di quell’Agosto.

Quindi, problema: che ci faccio con quest’uva, poca pochissima, che si perderebbe nella pressa? Allora: la vinifico a parte, la metto in una vaschettina e vediamo che succede. Anche se poi la butto va bene lo stesso, tanto è una prova.
Tengo l’uva nelle cassette, la sgrappolo a mano un po’ alla volta, alcuni raspetti rimangono, pazienza – la fermentazione parte da sola: le bucce sono dure, il cappello compatto, ci vuole tutto il peso dei miei (allora) 54 chili per dissodarlo. Tutte le volte che finisco la follatura ho le braccia rotte e una schiuma alta mezzo metro, ma che profumo! 

Finisce la fermentazione, rapida, così come era cominciata (d’altronde, in cantina c’erano 30 gradi e la vaschettina non era mica refrigerata). Adesso devo togliere le bucce, in qualche modo.  Mio padre aveva un torchio di legno da 20 chili alla volta, lo usava proprio all’inizio, quando ancora stavamo nel garage. Lo prendo e lo sanifico, va ancora bene per spremere le vinacce dello Zibibbo.
I travasi li faccio con il tubo di gomma e la bagnèra, figurati se attacco una pompa per 4 ettolitri scarsi di vino.

Ecco, dopo un paio di mesi lo assaggio.
[Prima il vino non lo assaggiavo MAI prima che finisse di fare tutto quello che doveva spontaneamente fare, mi metteva ansia. Mi sembrava strano, e sapeva di cose che non capivo. Poi sono cresciuta pure io: ho capito che il vino appena fatto è come i bambini piccoli che urlano, corrono dappertutto, si sporcano con la terra, si mettono le dita nel naso e ti fanno impazzire. Adesso lo so com’è un vino appena fatto, e l’ansia mi è passata, il più delle volte.]

Quindi lo assaggio, e assaggio una cosa che non avevo mai assaggiato prima.
Energia, Mare, Sicilia, Menfi. La pelle bruciata dal sole dopo una giornata in spiaggia, salata di Mediterraneo, dorata di tramonto, il profumo della menta selvatica, delle conchiglie, dello scirocco.
E tutto cambia di nuovo, di mese in mese, viene fuori la ginestra, poi il miele delle api nere.

Ci ho messo un po’ per rendermi conto che tutto questo non è solo l’uva, ma è anche il fatto che non c’è la pressa, non ci sono le pompe, non c’è il frigorifero, non c’è la filtrazione, non ci sono additivi enologici, non c’è l’energia elettrica – non c’è la mania del controllo: non ci sei tu che vuoi fare il vino, ma c’è il vino che si vuole fare, il vino per come vuole essere lui.

Avanti veloce, oggi, il 2024.

In questi ultimi 10 anni Ammàno mi ha insegnato a fare un passo indietro, a non volermi imporre al vino, ma a lasciare che sia il vino a dettare tempi e modi al mio lavoro. Mi ha insegnato a cercare di capire la vigna, l’uva che ci dona, il suo essere tenace e testarda, la sua caparbietà, il suo voler sopravvivere sempre, nel miglior modo possibile, anche nelle annate peggiori.
Tutto il mio percorso di vignaiola lo devo a lui.
La scelta di un’agricoltura rispettosa e delicata, il mio cammino nella biodinamica.

Oggi Ammàno è una certezza. Per me, prima di tutto, e poi anche per tante altre persone.
Ammàno è la ragione per cui, dopo anni di lavoro, arrivano i riconoscimenti più belli. La Chiocciola di Slow Wine, per esempio, che è stata appena riconfermata nella Guida 2025, e soprattutto le testimonianze di tanti che lo bevono, magari senza averne mai sentito parlare prima, e che mi mandano una mail, o che mi vengono a trovare in cantina.